Attraverso la storia della sanità cittadina e l’analisi del presente, Claudio Maria Maffei arriva a tracciare i contorni futuri di una città sana che vede la salute come bene collettivo e in tal senso orienta le sue politiche. E una proposta finale: fare di Villa Maria un museo/centro studi

 

In una serie di 5 articoli comparsi sulla versione online di Ancona a colori tra la seconda metà del 2022 e la prima (infausta) metà del 2023 ho scritto una serie di 5 articoli su Ancona città della salute. L’obiettivo era quello di saldare la storia della sanità di Ancona con una analisi del presente e con alcune proposte per il futuro. Adesso con questo articolo su carta tentiamo una sintesi di questi precedenti pezzi. La serie di articoli è stata pubblicata confidando in una continuità nel governo della città da parte del centrosinistra, ma le cose sono andate diversamente. Ciò che non è cambiata è la nostra voglia di analizzare, capire e proporre. Anzi. Ogni paragrafo sarà dedicato ad uno degli articoli comparsi su Ancona rivista a colori, di cui si offrirà una sintesi ragionata. 

Ancona come città degli ospedali
Ancona è storicamente la città degli Ospedali. Al tempo della frana (dicembre 1982), gli Ospedali pubblici di Ancona erano l’Umberto I (prima pietra il 24 giugno 1906), l’Ospedaletto ovvero il Salesi (collocato al Passetto in una struttura donata al Comitato delle Patronesse il 30 maggio 1920), il Cardiologico ovvero il Lancisi (sorto nel 1965), il Geriatrico U. Sestilli di Posatora (inaugurato il 22 marzo 1964) e l’Oncologico Francesco Angelini di Posatora. Il bellissimo (in senso strutturale ovviamente) Ospedale Psichiatrico era stato invece chiuso come ospedale nel 1978 a seguito della approvazione della Legge Basaglia (questo ospedale è quello la cui storia a mia conoscenza è stata descritta meglio). Qui non parliamo poi delle Case di Cura Private, per non allungare il brodo. 

Veniamo adesso ai nostri tempi. A distanza di 40 anni dalla frana lo scenario degli ospedali anconetani è completamente cambiato e nei prossimi anni cambierà ancora. Con la frana sono stati chiusi l’Oncologico e il Geriatrico, il primo riassorbito all’interno delle attività dell’Umberto I, mentre il secondo si è trasferito alla Montagnola. Il Cardiologico è confluito pure a Torrette dove si è trasferito ormai da circa 20 anni tutto il vecchio Umberto I. Ma non è finita qui: anche il Salesi si trasferirà in una struttura dedicata a Torrette e l’INRCA si trasferirà nella nuova sede nella zona sud di Ancona. Risultato: in città non ci saranno più ospedali. Giusto o sbagliato? La banale risposta di un tecnico è: inevitabile. Si tratta di ragionare sugli effetti sulla salute e sulla vita dei cittadini di questa nuova situazione.

Tra i principali problemi che questa nuova situazione degli ospedali di Ancona ha creato e creerà uno viene sentito più di tutti: non c’è più un Pronto Soccorso in città e ciò porta spesso a ipotizzare la riattivazione di una qualche forma di Pronto Soccorso in città. Purtroppo, o più precisamente per necessità, un Pronto Soccorso in città non ci sarà più: un Pronto Soccorso esiste solo se ha dietro un ospedale. E siccome gli ospedali non ci saranno più in città per il Pronto Soccorso bisognerà continuare a rivolgersi a Torrette. C’è il rischio allora che le già lunghe interminabili attese al Pronto Soccorso siano destinate ancora ad allungarsi.  E dove starebbe in questo caso il miglioramento che la riorganizzazione degli ospedali doveva portare? Il miglioramento sta innanzitutto nella maggiore qualità complessiva del servizio che un ospedale completo come Torrette riesce a garantire a livello di attività di ricovero. Per il resto, la situazione del Pronto Soccorso migliorerà quando avremo meglio funzionanti tutti i servizi territoriali, da quelli consultoriali a quelli residenziali e domiciliari per tutti i pazienti più fragili come gli anziani. E questo ci porta al secondo paragrafo, quello in cui l’Umberto I da Ospedale diventa Casa della Comunità. 

L’Umberto I da Ospedale diventa Casa della Comunità: un viaggio lungo più di 100 anni
Il 20 novembre 1911 si inaugurava il vecchio Ospedale Umberto I di Ancona che nel 2003 chiuderà. Tra qualche tempo (mesi probabilmente, anni speriamo proprio di no) riaprirà con attività completamente diverse. Vediamo cosa prevede il progetto. Esso prevede tra l’altro una Casa della Comunità ed è di questa che qui parliamo. Oggi occorre superare la organizzazione tradizionale della medicina generale e della pediatria del territorio (la cosiddetta pediatria di libera scelta), in cui i medici tendono a lavorare ciascuno nel proprio ambulatorio di solito con poco personale di supporto per lo più amministrativo, per arrivare ad una organizzazione in cui i medici e i pediatri “di famiglia” lavorano in equipe assieme a infermieri (tra cui quelli corrispondenti alla figura nuova dell’infermiere di famiglia e di comunità), medici specialisti, psicologi, ostetrici, assistenti sociali e altri professionisti delle aree della prevenzione, della riabilitazione e tecnica. La struttura che ospita questa organizzazione deve offrire i suoi servizi nelle 12 ore diurne e con la Guardia Medica coprire le 24 ore. Ecco, abbiamo appena descritto la Casa della Comunità. 

Il pensiero di chi ha vissuto almeno da bambino la sanità di 50 anni fa, quella di prima della riforma del 1978 che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale (la Legge 833), corre ai vecchi Poliambulatori dell’INAM, quello ad esempio in via Maratta vicino alla Chiesa del Sacro Cuore dove accompagnavo mia madre. No, la Casa della Comunità è un’altra cosa. E soprattutto non è solo una nuova struttura edilizia che dà una veste migliore e più funzionale ai servizi territoriali così come oggi li conosciamo, ma è molto di più e soprattutto è un modo diverso di occuparsi della salute dei cittadini. Pensiamo solo alla attività dei Medici di Medicina Generale, non più frammentata in tanti ambulatori individuali, ma trasformata in una attività integrata all’interno di una equipe multidisciplinare e multiprofessionale. Una vera rivoluzione che però va costruita, perché non basteranno dei muri nuovi a renderla possibile. Finora ci si è occupati (politica compresa) soprattutto di questi interventi edilizi. Poi arriverà il momento di riempire le nuove strutture  di risorse e cultura nuove. Ed è su questo che il dibattito pubblico e politico dovrebbe svilupparsi per non trovarsi a Casa della Comunità finita a dir “beh tutto qui?”.

Torrette: il grande e presto unico ospedale della città
Il tema del ruolo del “grande” ospedale di Ancona (quello che prima era l’Umberto I e oggi è “Torrette” presso il quale speriamo tra poco troverà spazio anche il nuovo Salesi) è essenziale per la nostra città.  Per parlare del “nostro” ospedale vorrei usare come spunto di partenza la scelta di trasformare un anno fa circa il nome della Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti di Ancona Umberto I – G.M. Lancisi – G. Salesi” facendolo diventare “Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche”. Essendo quella di Ancona rimasta la sola Azienda Ospedaliera della Regione, si è ritenuto opportuno rendere evidente anche nella sua denominazione questa unicità facendo così perdere il riferimento nel nome sia alla città che ai suoi tre ospedali storici (il Regionale Umberto I, il Cardiologico Lancisi e l’Ospedaletto Salesi). Si tratta di un caso quasi unico in Italia di Ospedale senza la città nel nome. Le intenzioni alla base del cambio di denominazione sono di per sé buone: rilanciare il ruolo unico e centrale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria nella Regione. Secondo me, taglio delle radici a parte (che pure conta), ci sono però alcuni possibili equivoci e altrettanti rischi in questa scelta di cambiare nome. Una scelta importante, come sapevano i Romani secondo cui “nomen omen”: il destino nel nome. Il più importante equivoco riguarda il fatto che con il Salesi che va a Torrette e con l’INRCA che andrà sotto Camerano per gli anconetani quella di Torrette rimarrà l’unica struttura ospedaliera in città. Quella, ad esempio, con il Pronto Soccorso più vicino e più “robusto”, quella con l’offerta ambulatoriale più significativa e quella cui la maggioranza degli anconetani si rivolge per i problemi chirurgici più comuni oltre che per quelli più complessi. L’enfasi sulle sole attività di secondo e terzo livello che caratterizzano il ruolo “marchigiano” (e nazionale) dell’ospedale rischia di far perdere di vista l’importanza delle prestazioni di primo livello della parte dell’ospedale che dovrebbe servire gli anconetani, che infatti a Torrette trovano difficoltà di risposta ad esempio per la patologia chirurgica “minore” che minore non è per chi ne soffre (varici, cataratta ed ernie sono le prime che mi vengono in mente). C’è dunque il rischio che per essere abbastanza “marchigiano” Torrette non ce la faccia più a essere abbastanza anconetano, quando gli anconetani continuano invece ad averne un gran bisogno. 

Con lo stesso atteggiamento critico va vissuto il riconoscimento dato di recente all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ancona, cioè delle Marche, come miglior ospedale pubblico d’Italia. Questo riconoscimento è frutto di una elaborazione dei dati di attività 2021 fatta da una Agenzia del Ministero della Salute. Questa elaborazione notoriamente non è in grado di fare “vere” classifiche perchè utilizza un sistema di indicatori che non copre molti aspetti della qualità dell’assistenza. Si tratta comunque di un ottimo segnale da vivere con la consapevolezza che i premi li debbono dare i cittadini e gli operatori prima che istituzioni politiche come quelle sotto il controllo ministeriale.
Per concludere: il ruolo dell’Ospedale di Ancona dovrà essere sempre più (facciamo i moderni) “glocal” e quindi capace di concentrarsi contemporaneamente sulla dimensione locale e su quella globale regionale e nazionale. 

 Il ruolo dell’INRCA
Adesso tocca all’INRCA, una “istituzione ” dalle molte particolarità note solo a una piccola parte dei cittadini e a una parte appena più consistente degli amministratori. Ricostruiamole. L’INRCA è innanzitutto un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), il che vuol dire che svolge per compito istituzionale una attività di ricerca oltre che assistenziale e che ha, oltre agli altri Direttori soliti (Generale, Sanitario e Amministrativo) anche un Direttore Scientifico e un Consiglio di Indirizzo e Verifica. In quanto IRCCS l’INRCA risponde sia alla Regione Marche (di gran lunga il suo principale finanziatore) che al Ministero della Salute ed è anche l’unico IRCCS in Italia ad occuparsi di anziani. 

L’attuale Ospedale della Montagnola dell’INRCA ad Ancona nacque a seguito dell’abbandono dell’Ospedale INRCA di Posatora danneggiato dalla frana del 1982, frana che causò anche l’abbandono del vicino Ospedale Oncologico e di una struttura residenziale per anziani dell’INRCA , il Tambroni, poi ricostruito nell’area retrostante il vecchio Manicomio,  area oggi sede degli uffici e degli ambulatori dell’Azienda Sanitaria. Purtroppo questa struttura ,subito dopo essere stata inaugurata nel 2005, non ha mai iniziato la sua attività per delle gravi carenze strutturali.  

Oggi abbiamo una grande opportunità (e relativi rischi) nel nuovo ospedale INRCA sotto Camerano ad Ancona sud, che integrerà le attività della Montagnola, che come Ospedale verrà chiuso, più quelle dell’attuale Ospedale di Osimo. Il nuovo Ospedale è previsto con una dotazione di 316 posti letto (dato ufficiale della Regione) e cioè almeno una cinquantina di più di quelli di cui dispongono i due attuali ospedali che vi confluiranno. Di questo potenziamento dell’INRCA io, che ho 70 anni e che dell’INRCA sono stato mediocre Direttore Sanitario, sono felice. Lo sarei anche di più se la Regione fosse in grado di dimostrare che riuscirà a rendere operativi tutti questi posti letto, cosa tutt’altro che facile viste le promesse che la attuale Giunta sta facendo in giro sul potenziamento di tutti gli altri ospedali delle Marche compresi alcuni piccoli che intende riaprire. 

Con l’INRCA che chiude dove andranno i pazienti geriatrici acuti che non troveranno più l’Accettazione Geriatrica d’urgenza della Montagnola? Come si distribuiranno i due ospedali (nuovo INRCA e Torrette) le fratture di femore e la patologia chirurgica dell’anziano? Che accordi si prenderanno per garantire che Torrette faccia l’alta complessità e divida con l’INRCA di Ancona-sud la copertura della attività ospedaliera di base per i cittadini di Ancona (e delle altre città e cittadine della stessa area)? I due ospedali si faranno concorrenza o si integreranno? E se si integreranno, come avverrà questa integrazione? E soprattutto: dove si troverà il personale e come si spiegherà al resto della Regione tanta abbondanza ospedaliera (non solo di posti letto, ma anche di tecnologie)? I Direttori Generali dei due Enti (Torrette e INRCA) dovrebbero assieme a quello della neonata Azienda Sanitaria Territoriale (AST) cominciare a lavorare assieme per rispondere a queste domande. Non lo stanno facendo e l’AST non ha ancora operativo il suo Direttore Generale. 

Insomma, l’INRCA è un grande cantiere aperto e non solo in senso edilizio. C’è bisogno di un progetto INRCA di città (e di Regione, ovviamente) che dia una risposta alle questioni aperte e uno sviluppo alle potenzialità che l’Istituto può offrire alla città che l’ha fatto nascere. Un aiuto progettuale importante lo può dare anche il Comitato di Partecipazione dell’INRCA, che comprende rappresentanti delle Associazioni dei cittadini ed è molto attivo e propositivo. Lo stesso utilizzo della Montagnola dopo il trasferimento dell’Ospedale merita un progetto che la coalizione di centrosinistra ha già impostato.

Ancona come “città sana”
Cosa voglia dire essere (o provare a essere) “città sana” lo troviamo in un “manifesto per l’impegno sulla salute nelle città come bene comune” la cui stesura e revisione è stata realizzata di recente grazie al contribuito di oltre 200 esperti e 36 tra Istituzioni, enti, università, società scientifiche, associazioni pubbliche e private tra cui l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Diciamo subito che Ancona, e questo è un merito della precedente Amministrazione, fa già parte della Rete Italiana Città Sane – OMS e anzi ha organizzato lo scorso 9 e 10 giugno 2022 il XIX Meeting nazionale di questa rete dal titolo “La salute tra esperienza e innovazione: dalle buone pratiche alle nuove sfide”. Una città sana è conscia dell’importanza della salute come bene collettivo e di conseguenza mette in atto delle politiche chiare per tutelarla e migliorarla.  La salute da bene individuale diventa bene comune che come tale diventa un obiettivo dei cittadini, dei sindaci e degli amministratori locali, che devono proporsi come garanti di una sanità equa, in cui la salute della collettività è considerata più come investimento e come risorsa che come un costo.

Ancona era con la precedente Amministrazione impegnata attivamente in una politica cittadina che andasse  in questa direzione. Nelle pagine del sito del Comune dedicate alla Rete Città Sane si trovano tutte le iniziative promosse in tale ambito a testimonianza della vitalità di questa attenzione.  C’è, o meglio c’era,  ovviamente ancora molto da fare. Faccio al riguardo un esempio: rendere Ancona una comunità amica delle persone con demenza. La demenza è un enorme problema sia per le persone che ne sono affette che per le persone che le supportano. Ancona ha anche come risorsa l’INRCA che sui temi dell’invecchiamento fa ricerca e non solo assistenza. Perché non promuovere allora un progetto che la adatti ad essere una città dementia friendly, per dirla ancora una volta in inglese?

Conclusioni
Nei pochi mesi che sono passati dalla pubblicazione dei 5 interventi su Ancona città della salute, molte cose sono cambiate e sono cambiate in peggio. Il centrosinistra ha perso le elezioni comunali e lo stato della sanità pubblica a livello nazionale, regionale e comunale è peggiorato. Ne sanno qualcosa i cittadini che hanno liste di attesa sempre più lunghe per patologie spesso gravi e ne sanno qualcosa gli operatori che a Torrette sono in gran numero precari e quindi con contratti rinnovati periodicamente. Ciò diventa un motivo per molti di loro di andarsene dove gli offrono un lavoro sicuro e diventa un fattore di grande precarietà per l’intera struttura. La Regione ha scelto per Torrette un Direttore Generale competente, ma proveniente da un altro mondo, la sanità poco pubblica della Lombardia. E di questa estraneità tutti si stanno accorgendo, tranne la Giunta ovviamente.

La sanità di Ancona merita di avere un grande futuro oltre che un grande passato. Per finire con una nota positiva butto lì una idea: perché non trasformare Villa Maria in una sorta di Museo/Centro Studi sugli Ospedali e sulla sanità di Ancona? Una storia che merita di essere studiata, conosciuta e meditata. Ed è a questa storia che viene dedicato questo intervento. 

 

 

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Foto di copertina: Francesca Buonanno