Il Senato ha approvato il Disegno di Legge Calderoli che avvia il percorso verso l’autonomia differenziata per le Regioni che la chiederanno. Proviamo a capire qualcosa di come questo muterà gli scenari in sanità. Io ne scriverò come se la dovessi spiegare a una persona incontrata per caso che ne sa poco, ne vuole sapere poco di più e comunque non ne vuole sapere troppo. Quindi in pratica scriverò a me stesso.
L’autonomia differenziata è quella cosa per cui una Regione chiede e ottiene dallo Stato la possibilità di provvedere da sé all’erogazione di alcuni tipi di servizi e per farlo trattiene ciò che prima versava nelle casse dello Stato. Questi servizi riguardano ben 23 materie, tra cui i trasporti, la scuola e appunto la sanità. Le altre le trovate nella foto qui sotto.
Attualmente a finanziare le sanità regionali provvede lo Stato e poi le Regioni si organizzano in modo relativamente autonomo per erogare i servizi. Questa “relativa autonomia”, in deroga rispetto al dettato costituzionale originale che non la prevedeva, venne introdotta nel 2001 per iniziativa di un governo di centro-sinistra. Sarebbe questa la famosa “modifica del Titolo V della Costituzione” spesso citata nel dibattito e nello scontro politico. Quindi già oggi un po’ di autonomia le Regioni ce l’hanno, ma ne vogliono di più e in più materie. A questo serve l’autonomia differenziata di cui oggi si parla e straparla. Parlando appunto di sanità le Regioni già oggi hanno modi funzionare molto diversi tra loro, anche troppo, come venne clamorosamente fuori in occasione della pandemia. Sono diverse ad esempio come numero di Aziende, come organizzazione del livello regionale, come peso dato agli ospedali rispetto al territorio e così via.
Questa relativa autonomia viene controbilanciata da due cose (sulla carta): un nucleo forte di regole fissate e controllate dal livello centrale e l’obbligo per le Regioni di garantire comunque i bisogni sanitari dei cittadini ad un livello accettabile. Il livello accettabile corrisponde ai cosiddetti LEA, e cioè ai Livelli Essenziali di Assistenza. Questi sono stati fissati nel 2001 e rivisti nel 2017, prevedono tutti i diritti dei cittadini esigibili in sanità dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. In base a questi LEA ogni cittadino italiano dovrebbe avere ad esempio le stesse vaccinazioni e le stesse cure in caso di diabete o di una qualunque altra malattia. Oggi quelle Regioni fanatiche dell’autonomia differenziata chiedono ancora più autonomia in sanità e propongono di pagarsela da sole, quindi di trattenere almeno in parte quello che versano allo Stato per la sanità. Chiedono ad esempio una maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, autonomia nella definizione del numero di borse di studio per le scuole di specializzazione e la formazione in medicina generale, maggiore autonomia sui sistemi tariffari che regolamentano il rapporto con i privati. Che rischi si corrono con queste eventuali maggiori autonomie? Che al Sud andranno a lavorare sempre meno persone e che il privato in qualche Regione crescerà ancora di più.
Per arrivare a concedere questa maggiore autonomia lo Stato deve rivedere i LEA, calcolare quanto serve a ogni Regione per garantirli e dare il necessario finanziamento a ciascuna Regione. Fatte queste tre cose si potrà cominciare a valutare le domande delle Regioni che vorranno farsi la “loro” sanità. Col Disegno di Legge appena approvato dal Senato questo complicato e lungo percorso è previsto per tutte e 23 le materie in gioco, solo che i LEA adesso si chiameranno LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni). Se il percorso dovesse essere davvero questo, visto ciò che è successo in sanità dal 2001, l’autonomia differenziata non partirà mai per due fondamentali motivi:
- definire i LEP è complicatissimo, visto che in sanità ci sono da 23 anni e sono ancora molto mal definiti e ancor peggio finanziati;
- i soldi per finanziare di più le Regioni con i servizi più arretrati non ci sono e certo non li sborseranno le Regioni più ricche che già si lamentano oggi di versare troppo allo Stato.
Quindi quando Meloni dice che l’autonomia differenziata favorirà le Regioni del Sud o c’è o ci fa. E quando dice che è tutta colpa della autonomia differenziata voluta dal centrosinistra e che andava solo meglio regolamentata come fa il Disegno di Legge di nuovo o c’è o ci fa.
Ma davvero la Lega avrebbe fatto ‘sto casino per dare qualche regola in più all’autonomia già concessa nel 2001?
Purtroppo anche il centrosinistra non è tanto credibile quando si scandalizza per le diseguaglianze che si creeranno con l’autonomia differenziata, perché i primi a concederla sono stati proprio loro e perché le diseguaglianze tra nord e sud ci sono già da decenni, e sono clamorose. Mi ricordano quella scena di M.A.S.H. (così ricordiamo il grande Donald Sutherland che ci ha lasciato pochi giorni fa) in cui l‘odioso chirurgo Burns (quello che se la faceva con la focosa capo infermiera “Bollore”) dopo avere fatto fuori nella sala operatoria da campo l’ennesimo paziente se la prende con il malcapitato Caporale Walter ‘Radar’ O’Reilly arrivato proprio all’ultimo e gli dice «l’hai ucciso» perché reo, se ricordo bene, di non avergli passato un inutile strumento.
Siamo giusti: l’autonomia differenziata in salsa leghista è odiosa, ma le diseguaglianze regionali non nascono da qui. E per superarle non basta prendersela con questo, pur impresentabile, governo.
Claudio Maffei
Medico in pensione con una lunga esperienza di Direzione Sanitaria dopo un decennio di lavoro all’Università.
Si occupa tuttora di politica sanitaria su cui pubblica contributi in varie testate nazionali e regionali.
Ama la sua città e vorrebbe contribuire a migliorarla.