Ayaz accoglie sorridente i clienti che entrano nel suo negozio di frutta e verdura.
«Oggi non piove, e manco domani» riferisce puntuale un signore sulla settantina che ha appena fatto scorta di vitamine.
«Sicuro?» risponde Ayaz.
«Sicuro sicuro!»
«Speriamo!»

Due giorni prima il quartiere in cui si trova il negozio, la Cesanella, periferia industrial-residenziale a Nord di Senigallia, affogava sotto i fiumi di fango che scendevano dalle colline. Oggi si riesce a spostarsi anche senza stivaloni di gomma. Ayaz scherza coi clienti nell’ostico dialetto locale. Io che qui ci sono nata e cresciuta e andavo all’asilo (pardon, scuola dell’infanzia) proprio di fronte al suo negozio, rimango sempre stupita per come lo padroneggia. All’epoca, al suo posto, c’era il forno/pizzeria che rimpinzava quotidianamente tutti noi giovani studenti affamati. Io e i miei genitori veniamo spesso a far spesa da Ayaz, ma non gli avevo mai chiesto nulla della propria storia. Qualcosa avevo intuito, ma come al solito, dietro all’idea standard di un racconto c’è sempre una componente individuale importante.

«Sono arrivato in Italia nel 2007 dall’Afghanistan, dove il mio popolo, gli hazara, è perseguitato. Ero minorenne, avevo 16 anni. Ho fatto un viaggio lunghissimo passando per l’Iran, la Turchia e la Grecia, via terra. Poi, da lì, ci siamo nascosti dentro una nave da crociera e siamo sbarcati a Venezia. Eravamo 45, quasi tutti minori. Sono stato accolto in comunità nella zona vicina all’aeroporto di Venezia. Non avevo parenti qui e non ne ho neanche adesso. Sono rimasto in comunità per due anni circa, fra il 2009 e il 2010 ho svolto un tirocinio presso un’industria che produceva tramezzini, poi quando ho lasciato la comunità ho cominciato a lavorare come montatore di palcoscenici per i concerti. Successivamente, mi sono trasferito a Padova, dove ho trovato lavoro come operaio. Sono stato in fabbrica per tre anni, sempre con contratti intermittenti, poi ho avuto un grave incidente: il braccio sinistro mi è rimasto schiacciato sotto ad un rullo. A causa di questo incidente non ho più potuto fare quel lavoro, ma almeno ho avuto un piccolo risarcimento. In quegli anni, un amico conosciuto in comunità mi ha chiamato per lavorare in un negozio di frutta e verdura a Marotta. Abbiamo lavorato lì insieme per un anno e tre mesi, poi, messa da parte la somma necessaria, abbiamo deciso di metterci in proprio. Il primo punto vendita lo abbiamo aperto nel 2014 a Borgo Mulino (vicino al casello autostradale di Senigallia, per i non autoctoni), poi ci siamo spostati a Cesanella»

Conosco molti afghani che hanno aperto negozi di frutta e verdura in provincia di Ancona, è un’attività che si svolge in modo simile anche in Afghanistan?
«Si, anche da noi i negozi di frutta e verdura sono molto diffusi, anche nell’allestimento riproduciamo un po’ quello che facciamo in patria… ma qui siamo molto più puliti!!!»

Come ti sei trovato qui? È stato difficile conquistare la fiducia dei clienti? Il tuo negozio ha sostituito una bottega storica che esisteva da trent’anni, non sarà stato facilissimo…
«Dipende un po’ dal quartiere. A Borgo Mulino i clienti erano più… cittadini, molto più diffidenti. A Cesanella ho trovato soprattutto anziani che erano stati contadini. Con loro, se ti guadagni la fiducia una volta ti rimane per sempre. Ci intendiamo bene. È anche vero che se li freghi una volta, sei fregato anche tu, perché non tornano più. Io vivo a Borgo Mulino con la mia famiglia, ma mi sento più abitante di Cesanella».

In che senso? Ti senti coinvolto nella vita del quartiere?
«Sì, mi capita anche di partecipare ai lutti, quando conosco personalmente le famiglie e le persone coinvolte. Vado a trovarli a casa se succede qualcosa. D’altra parte, quando è nata mia figlia, molti clienti mi hanno portato dei regali. Quindi sì, mi sento parte del quartiere».

Ayaz come tanti ha trovato un nuovo inizio in mezzo alle nostre case e con lui i suoi 4 dipendenti, tutti afghani, ognuno col suo percorso e il suo viaggio. Nuovi anconetani, senigalliesi, marottesi che diventano punti di riferimento nel quartiere in cui si insediano e paradossalmente riportano i negozi di prossimità a quella funzione che, da noi, avevano tanti anni fa: quella di punto di incontro, di aggregazione e di dialogo, anche fra mondi lontani.