Alla fine degli anni ’60 c’era nell’aria una forte volontà di rinnovamento, che però non doveva essere arrivata nel naso del procuratore della Repubblica della nostra città, tale Arnaldo Angioni, che con sommo sprezzo della cultura, dell’intelligenza e del ridicolo, ad ottobre del 1967 fece sequestrare in tutto il territorio nazionale il film di Antonioni Blow Up, vincitore nello stesso anno del festival di Cannes. Per non smentirsi, dopo circa un mese fece sequestrare anche la rivista Men proiettando per un breve periodo Ancona alla ribalta nazionale come capitale del ridicolo e della sessuofobia.

Il cambiamento del clima politico anche ad Ancona si respirò già dai primi giorni di gennaio con il crescere delle manifestazioni studentesche, alcune molto significative come quella tenuta a Città del Vaticano dagli studenti dell’università cattolica del Sacro Cuore alla quale partecipò Mario Capanna, che sarà poi uno dei leader del movimento. Seguirono poi la occupazione delle facoltà in tutte le principali Università italiane e ben presto la protesta coinvolse gli studenti delle scuole superiori anche della nostra città. Ancora una volta la classe dirigente non fu in grado di comprendere il mutamento avvenuto nella società. Si iniziò a parlare di ragazzate, di generica rivolta dei figli contro i padri forse un po’ più violente di quelle avvenute in passato. Nessuno sembrò pensare che ora c’erano oltre sei milioni di teste pensanti, di giovani scolarizzati tra i 15 e i 24 anni: basti pensare che nel 1946 nelle Università italiane c’erano 146.000 iscritti, ora erano diventati oltre mezzo milione. Dalla loro insoddisfacente esperienza scolastica avevano già intravisto l’inadeguatezza e la contraddittorietà dell’organizzazione sociale, e contro questa si ribellavano. Non era una semplice rivolta contro i padri, era una rivoluzione dei costumi e dell’organizzazione sociale che si univa all’agitarsi del mondo del lavoro.

Ad Ancona le lotte operaie scattano per l’insostenibilità delle condizioni economiche, la persistenza dei bassi salari. Si scende in lotta anche per difendere il posto di lavoro. Il punto di riferimento è il contratto dei metalmeccanici firmato nel 1966. Gli aumenti salariali sono stati irrisori, ma il contratto contiene una clausola nuova: il diritto di contrattazione in fabbrica. E da qui iniziano le vertenze. La prima è avviata al Tubificio Maraldi ed è inaspettatamente vinta grazie alla solidarietà che suscita nella città. Quella del Cantiere Navale subito dopo assume immediatamente i connotati di una lotta innovativa. Nell’estate del 1968 gli arsenalotti sono protagonisti dello scontro più duro. Mentre si susseguivano le manifestazioni e i cortei in città, la Direzione della Piaggio proclama la “serrata” aziendale. Il giorno dopo, mercoledì 17 luglio, l’assemblea dei lavoratori riuniti davanti ai Cantieri decide di “occupare la città”. La città si ferma: blocchi operai chiudono gli accessi alla città. L’Unione Commercianti proclama lo sciopero di solidarietà. I filoviari dell’Atma, i dipendenti del Gas, gli altri lavoratori delle fabbriche in città proclamano di essere pronti ad entrare in sciopero. La segreteria nazionale della CGIL e i parlamentari (del PCI in primo luogo) investono il Governo affinché sia revocata la serrata. I lavoratori del Cantiere di Riva Trigoso di La Spezia scioperano per due ore in solidarietà con Ancona. Monsignor Tinivella, vescovo della città, si schiera con i lavoratori. Nello stesso periodo l’assemblea degli studenti della facoltà di economia e commercio decide l’occupazione che con fasi alterne, in cui si dialoga con le autorità accademiche, durerà circa un anno, concludendosi con il ridicolo sgombro forzato di due, diconsi due, studenti rimasti dopo che durante la notte, prima dell’irruzione della polizia , l’occupazione era terminata. Lo sgombro era stato ordinato da un sostituto procuratore della Repubblica che del ridicolo aveva fatto professione ed era noto perché amava svolgere la sua funzione esibendo la pistola. Anche in seguito dimostrò di essere un pistola e fu costretto a lasciare Ancona. L’occupazione della Facoltà di Economia e Commercio di Ancona ebbe una certa risonanza , rispetto ad altre esperienze nazionali, per una significativa particolarità, quella del comune impegno (al di là della diversità dei ruoli) delle diverse componenti del mondo accademico e del positivo raccordo con l’ambiente politico cittadino e del mondo del lavoro.