C’era una volta una città con cinque ospedali pubblici… comincia così il racconto di Claudio Maffei, una lunga esperienza di direzione sanitaria dopo un decennio di lavoro all’Università e la passione di chi ama la sua città e vorrebbe contribuire a migliorarla.
Un lavoro in quattro puntate, che ospitiamo con grande piacere per una riflessione aperta sul tema della tutela della salute nella nostra città.
Un percorso che parte, in questa prima puntata, dalla storia della situazione sanitaria nel capoluogo per poi tracciare, nelle prossime, la visione di quella che, ai nostri occhi, dovrebbe essere “la città della salute”.
Ancona è storicamente la città degli Ospedali. Al tempo della frana (dicembre 1982) gli Ospedali pubblici di Ancona erano l’Umberto I (prima pietra 24 giugno 1906), l’Ospedaletto, ovvero il Salesi (collocato al Passetto in una struttura donata al Comitato delle Patronesse il 30 maggio 1920), il Cardiologico, ovvero il Lancisi (sorto nel 1965), il Geriatrico U. Sestilli di Posatora (inaugurato il 22 marzo 1964) e l’Oncologico Francesco Angelini sempre a Posatora. Il bellissimo (in senso strutturale ovviamente) Ospedale Psichiatrico era stato invece chiuso come ospedale nel 1978 a seguito dell’approvazione della Legge Basaglia. Qui non parliamo poi delle case di cura private, per non allungare il brodo.
La storia degli Ospedali di Ancona merita di essere ricostruita, analizzata e valorizzata, perché la situazione del 1982, con un grande Ospedale Regionale, come si chiamava allora, e quattro ospedali specializzati nella stessa città (di cui due quasi senza analoghi in Italia come il Cardiologico e il Geriatrico) è forse unica in Italia per una città di circa 100.000 abitanti.
Una storia che non può essere frutto del caso, ma che credo abbia radici profonde. Tanto è vero che quando “frugo” in rete alla ricerca delle tracce di Ancona com’era mi imbatto ogni tanto in un ospedale qui e in un ospedale là. Ce n’era ad esempio uno a San Francesco alle Scale, che credo abbia funzionato fino alla nascita dell’Umberto I. E ce n’era uno dove c’è oggi (o meglio ci sarebbe) il Museo della Città in Piazza del Papa (del Plebiscito, lo so), la cui sede è costituita da diversi ambienti, alcuni dei quali utilizzano gli spazi dell’Ospedale di S. Tommaso di Canterbury (sec. XIII,dicono). Dunque la vocazione sanitaria e ospedaliera di Ancona rimane e rimarrà importante (vedremo come) e costituisce senz’altro assieme all’Università un polo di attrazione e un volano economico e culturale importante per la città.
Veniamo adesso ai nostri tempi. A distanza di 40 anni dalla frana lo scenario degli ospedali anconetani è completamente cambiato e nei prossimi anni cambierà ancora. Con la frana sono stati chiusi l’Oncologico e il Geriatrico, il primo riassorbito all’interno delle attività dell’Umberto I, mentre il secondo si è trasferito alla Montagnola. Il Cardiologico è confluito pure a Torrette dove si è trasferito ormai da circa 20 anni tutto il vecchio Umberto I. Ma non è finita qui: anche il Salesi si trasferirà in una struttura dedicata a Torrette e l’INRCA si trasferirà nella nuova sede nella zona sud di Ancona. Risultato: in città non ci saranno più ospedali. Giusto o sbagliato? La banale risposta di un tecnico è: inevitabile. Si tratta di ragionare sui motivi e sulle conseguenze di questo cambiamento, e sui suoi effetti sulla salute e sulla vita dei cittadini.
Certo per i cittadini, o almeno per molti di loro, la nostalgia è tanta. Questo vale soprattutto per il Salesi, nelle cui strutture (prima c’era anche Villa Maria) sono nati tanti anconetani e presso il cui Pronto Soccorso e i cui reparti tanti genitori hanno visto e continuano a vedere sciogliersi le proprie ansie e risolti i problemi dei loro figli. Anche il Pronto Soccorso del vecchio Umberto I manca molto a chi vive in città. Del resto Umberto I e Salesi avevano una collocazione in un’area a densa concentrazione abitativa e erano (il Salesi continua ad esserlo) parte sostanziale del panorama urbano. Oltretutto il Salesi ha sempre goduto di una posizione geografica splendida (il suo panorama non credo abbia molti equivalenti tra gli ospedali, non solo in Italia) e l’Umberto I coi suoi viali dava a chi ci lavorava e a chi ci veniva assistito un “respiro” che certo difficilmente riesce a dare un polo ospedaliero come quello di Torrette.
Vediamo adesso i motivi della inevitabilità della riduzione del numero degli ospedali e del loro spostamento fuori città. Oggi un Ospedale ha una natura diversa, molto diversa, non solo rispetto ai tempi dell’Ospedale a San Francesco alle Scale, ma anche rispetto a 40 anni fa. Difficile sintetizzare cause ed effetti di questo cambiamento, ma ci provo. Storicamente, prima della Legge di Riforma Sanitaria del 1978 (la splendida Legge 833 che ha abolito le mutue e istituito il Servizio Sanitario Nazionale con la possibilità di garantire a tutti i cittadini un accesso a tutte le prestazioni sanitarie più importanti) gli ospedali erano cresciuti prevalentemente in base alla libera iniziativa delle diverse comunità locali, tant’è vero che di ospedali nelle Marche ce n’erano tantissimi ovunque, da Sant’Angelo in Vado a Foce: tra pubblici e privati più di 80. Nella sola provincia di Ancona dai primi anni ’80 sono stati chiusi i seguenti: Corinaldo, Ostra, Ostra Vetere, Chiaravalle, Montemarciano, Cupramontana, Filottrano, Montecarotto, Arcevia, Matelica, Sassoferrato, Castelfidardo, Loreto e Recanati. Sono 14 e alcuni di questi avevano un passato glorioso. A solo e unico titolo di esempio ricordo per vita vissuta il Punto Nascita di Recanati, con un percorso per le gravidanze fisiologiche che anticipava di molto i tempi. Anzi, non li anticipava perchè quel percorso non ha poi trovato molti altri “seguaci”.
Vediamo adesso in che modo dopo 40 anni il ruolo e il funzionamento dell’ospedale sono diventati così diversi. In primo luogo ci si ricovera molto meno perché molte prestazioni si fanno fuori dell’ospedale, dagli accertamenti diagnostici a molta attività chirurgica, come ad esempio l’intervento per cataratta. Questo dipende dalle mutate tecniche chirurgiche e anestesiologiche che consentono di effettuare molti interventi in un ambulatorio, o le dimissioni dopo pochissimi giorni per interventi che una volta ti tenevano in ospedale settimane quando non addirittura mesi. Le persone anziane, poi, si cerca quanto più possibile di assisterle a livello domiciliare o residenziale. La durata dei ricoveri è inoltre molto più breve tanto che a volte si ha l’impressione che “ti sbattano fuori”. Fatto sta che ogni anno mediamente si ricovera in ospedale solo un marchigiano su 10 per un ricovero della durata di circa una settimana (pandemia a parte, ovviamente). Si tratta di medie da interpretare, visto che gli anziani si ricoverano di più e i giovani e gli adulti di meno. Quaranta anni fa i ricoveri erano almeno il doppio e duravano pure il doppio. Insomma abbiamo molto meno bisogno di posti letto ospedalieri.
In secondo luogo, gli ospedali ospitano oggi molte più discipline e molti più servizi in modo da offrire nella stessa sede il massimo di competenze disponibili. Negli Ospedali Regionali, come era il vecchio Umberto I, alle classiche e generaliste Chirurgia Generale, Ortopedia e Urologia, si sono affiancate altre unità operative di area chirurgica come la Chirurgia Toracica, la Chirurgia Vascolare, la Chirurgia Plastica, la Chirurgia maxillo-facciale e la Neurochirurgia. Dove c’era la radiologia si sono aggiunte la Neuroradiologia e la radiologia interventistica. Ma questa logica di rendere il più possibile “completi” gli ospedali vale anche per quelli di minori dimensioni. Ciò ha portato ad esempio a concentrare a Torrette discipline che sarebbero rimaste disperse in più ospedali (Umberto I, Lancisi e Salesi).
In terzo luogo, nei moderni ospedali pubblici tutte le unità operative sono organizzate per far fronte alle urgenze e questo richiede molto più personale (medico in modo particolare) specie nel caso di una guardia attiva e cioè con personale presente nella struttura in modo da coprire tutte le ore del giorno, tutti i giorni. E quindi concentrare le urgenze in un unico ospedale rende l’organizzazione molto più efficiente.
In quarto luogo, la medicina ospedaliera si specializza sempre più e quindi le diverse discipline hanno bisogno di casistiche consistenti per far crescere la cultura e la pratica degli operatori. Questo è il motivo ad esempio per cui certe discipline sono presenti solo ad (anzi “in”) Ancona: cardiochirurgia, chirurgia toracica, ecc.
Quinto e ultimo punto: gli ospedali vecchi impediscono un’organizzazione interna degli spazi e dei percorsi ottimale. E quindi se si può meglio farne di nuovi. E se li fai nuovi, mettendoci dentro quello che prima veniva fatto in più ospedali, ecco che si spiega per problemi di viabilità e parcheggio la scelta di portarli fuori città, specie se ricevono pazienti da tutta la Regione.
Così si spoega perché quattro dei cinque ospedali pubblici di Ancona sono finiti a Torrette. Il quinto, l’INRCA, si sposterà invece verso Ancona sud integrandosi con l’Ospedale di Osimo. Ancona avrà così concentrate in una unica sede a Torrette le attività distribuite 40 anni fa tra quattro ospedali. L’Ospedale di Torrette rappresenta oggi l’unico ospedale di secondo livello della Regione, con praticamente tutte o quasi le alte specialità. Grazie a questo può mantenere la sua natura di Azienda e grazie a questo rimane la sede naturale della Facoltà di Medicina.
Tutto bene allora? Niente va mai bene del tutto. Due sono i principali problemi che questa nuova organizzazione lascia aperti: non c’è più un Pronto Soccorso in città e per raggiungere Torrette ci si deve spostare di più. Il primo problema è quello più sentito dai cittadini e porta spesso a ipotizzare la riattivazione di una qualche forma di Pronto Soccorso in città. Vogliamo parlarne? Facciamolo pure, ma rassagnatevi al fatto che un Pronto Soccorso in città non ci sarà più.
un Pronto Soccorso esiste solo se ha dietro un ospedale. Il Pronto Soccorso per sua natura ha bisogno di un’organizzazione ospedaliera con i suoi servizi (radiologia, laboratorio e blocco operatorio in primis) e con le sue competenze specialistiche (ortopedia, cardiologia, neurologia, oculistica, ecc.).
Non può esistere un Pronto Soccorso per i casi meno gravi, perchè che i casi sono più o meno gravi non puoi saperlo prima. E siccome di ospedali in città non ce ne saranno più, anche per il Pronto Soccorso bisognerà rivolgersi a Torrette.
Dove allora le lunghe ed interminabili attese sono destinate ancora ad allungarsi? E dove starebbe allora il miglioramento che la riorganizzazione degli ospedali doveva portare? Il miglioramento sta innanzitutto nella maggiore qualità complessiva del servizio che un ospedale completo come Torrette riesce a garantire a livello di attività di ricovero. Per il resto, Pronto Soccorso e attività ambulatoriali, la situazione migliorerà quando ci sarà più territorio e quindi quando saranno in funzione le Case della Comunità finanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, quando funzioneranno al meglio tutti gli altri servizi territoriali, da quelli consultoriali a quelli residenziali e domiciliari. E quando riusciremo a fare in modo che i servizi territoriali raggiungano le persone più fragili, dagli anziani a chi soffre di problemi di salute mentale. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.
Foto di copertina: L’ex Umberto I (fonte: Fondo Corsini, anni 1925-1930)
Claudio Maffei
Medico in pensione con una lunga esperienza di Direzione Sanitaria dopo un decennio di lavoro all’Università.
Si occupa tuttora di politica sanitaria su cui pubblica contributi in varie testate nazionali e regionali.
Ama la sua città e vorrebbe contribuire a migliorarla.