Pubblichiamo di seguito (ringraziandolo per i complimenti, ma soprattutto per l’interessante punto di vista) un intervento di Andrea Raschia che prende le mosse da questo articolo (clic) di Massimo Pacetti sugli anni delle lotte operaie e studentesche ad Ancona e che richiama ad un rinnovato impegno politico contro le derive del precariato e del lavoro che non garantisce sicurezze e diritti.
Innanzitutto complimenti ai curatori della Rivista ai quali rivolgo, con i più affettuosi saluti, il sincero ringraziamento per il lavoro presentato ai lettori. Certamente di grande interesse. Così come la ricostruzione storica, assai stimolante, di Massimo Pacetti, a proposito del clima ai tempi delle lotte operaie. Stagione ormai alle spalle. E che sembra irripetibile.
C’è più la Città che racconta? Ancona, protagonista di iniziative che hanno segnato gli anni ’60, contribuendo alla crescita sociale e politica del Paese intero. Come in altri momenti della storia nazionale: la Settimana rossa del ’14, la rivolta dei Bersaglieri del ’19, la reazione alle violenze fasciste del ’21/22.
Per restare ai citati avvenimenti interessa qui sottolineare i risultati ottenuti dal conflitto sociale che prende le mosse dalle fabbriche anconetane, capace di registrare consensi di massa ed ottenere solidarietà generale. Operai, studenti e il mondo accademico, commercianti: la Città si ferma!
Non a caso sono anni che vedono il Paese intero compiere passi decisi e poderosi verso la conquista di diritti che segnano avanzamento complessivo della Società. Cammino, purtroppo, che si è interrotto.
La condizione che vive oggi il lavoro, in particolare, appare tragica. All’assenza di sicurezza -una strage continua, si contano vittime quotidiane!- si somma crescente povertà. La ragione? Come allora, salari troppo bassi, inadeguati, da fame. Lavoro povero in tutti i sensi.
Quali differenze col secolo scorso? Al netto di gravi responsabilità di una classe dirigente estesa -questione da analizzare-, pesano assenza di conflitto, caduta di partecipazione, sfiducia sempre maggiore nei soggetti della rappresentanza politica e sociale. La rassegnazione produce astensionismo che svuota e impoverisce la democrazia. Le persone hanno smarrito -e son lontane dal ritrovarle- ragioni di un impegno collettivo. Impegno quale carburante per rimettere in moto una società ormai preda di vera e propria involuzione. Effetto, dunque, ma anche causa di guasti ulteriori. Per questo serve un generale risveglio. Altrimenti il cane finirà per mangiarsela la coda!
Occorre reagire. Lotta per restituire valore al lavoro, dignità al salario e alle persone, debbono costituire l’essenza di un rinnovato impegno politico da cui dipende la sopravvivenza di un’altra idea di Società, propugnata dalla Costituzione, fondata sulla Pace tra i popoli.
È un cammino lungo che può avviarsi concretamente solo attraverso uno sforzo collettivo, che tutti insieme possiamo produrre per affrontare la lunga marcia. Restituendo in tal modo significato vero alla Politica come “parte essenziale dell’attività dell’uomo che concerne i rapporti sociali con i propri simili
(Enrico Berlinguer).