Ognuno di noi –perlomeno chi ha vissuto anche un breve periodo della propria vita ad Ancona– ha parti della propria storia personale che si intersecano con quella del mosciolo. Il mosciolo è parte fondante dell’immaginario collettivo della comunità che ruota attorno alla città di Ancona.
Nonostante la centralità di questo elemento, il rapporto simbiotico (a volte patologico!) dell’anconetano con il mosciolo è stato studiato poco e meriterebbe dunque di essere sempre più indagato e perché no anche psicoanalizzato a fondo.
A dire il vero un’eccezione c’è stata, si tratta del libro la “Costruzione sociale del mosciolo” scritto dal Prof. Marco Giovagnoli dell’Università di Camerino.
Sarebbe bello che qualcuno, riprendendo gli studi di Giovagnoli, facesse quello che Carlo Ginzburg, figura di spicco della microstoria, ha fatto con il territorio friulano ripercorrendone la storia alla fine del ‘500 a partire dalle vicende di un mugnaio che, caso eccezionale per l’epoca, si dedicava in maniera dedita alla lettura e alla scrittura.
Certo, la microstoria predilige l’occuparsi delle anomalie, mentre essere un raccoglitore di moscioli ad Ancona, o pescatore che dir si voglia, non è sicuramente un’anomalia né tantomeno un’eccezione. Eppure, sarebbe bello e probabilmente illuminante leggere una storia della nostra città a partire dalle vicende di un pescatore, o di una pescatrice, di moscioli. Anche se molto più probabilmente si tratterebbe di un pescatore soprattutto se la periodizzazione della ricerca fosse incentrata durante il XX secolo. Da questa indagine storica emergerebbero tante cose: dal rapporto che una persona che vive ad Ancona ha con il mare, al modo di rapportarsi alle altre persone, agli usi e costumi che ruotano attorno al mondo della pesca, e chissà quante altre cose ancora.

Pescatore piuttosto che pescatrice si diceva. Sì, perché, dai racconti che mi faceva mia nonna sdraiata su un lettino di fronte al cancello della grotta, posso con quasi assoluta certezza dire che pescare moscioli fosse una cosa esclusivamente da uomini, perlomeno fino agli anni ’90 del secolo scorso. Certo, una Marie Curie o una Rita Levi Montalcini dei moscioli possono anche esserci state, ma il pescatore di moscioli per lungo tempo è stato rigorosamente di genere maschile. Potremmo dire che c’era una divisione netta dei ruoli, perlomeno questo mi raccontava mia nonna. Gli uomini uscivano con i guanti e spesso con arnesi di vario tipo e tornavano dopo qualche ora con l’agognato sacco di moscioli. Da lì partiva la catena di montaggio per la pulizia che, come pratica, è resistita al passare del tempo e si può facilmente vedere in un qualsiasi giorno d’estate scendendo le scale del Passetto e dirigendosi in direzione Seggiola del Papa. Mi riferisco alla pulizia dei moscioli nei Moletti del Passetto con le persone disposte una a fianco all’altra ai due lati del molo. Una sorta di taylorismo rudimentale applicato alla pulizia del mosciolo. La divisione dei ruoli dunque era ben definita. Gli uomini procacciatori li andavano a raccogliere, le donne invece attendevano il loro rientro a terra, in grotta, ed iniziavano ad approntare i preparativi per il pranzo. La pulizia invece era competenza condivisa.

Cosa è rimasto di tutto questo?

Alcune cose forse sono cambiate, altre sono rimaste uguali. Ciò che sicuramente non è cambiato è il desiderio di mangiare –ma forse anche di guardare, toccare- il primo mosciolo quando arriva l’estate. Se non fosse che a complicare questa storia d’amore negli ultimi anni sembrano essersi messi di mezzo alcuni fattori di disturbo, che fanno sì che trovare moscioli stia diventando sempre più complicato. Financo impossibile. Ma davvero non ci saranno più moscioli selvatici in futuro? Che ne sarà di questo amore? Come ho imparato leggendo Questa è l’Acqua di David Foster Wallace, che riporta il discorso da lui pronunciato durante la cerimonia di consegna dei diplomi di una prestigiosa università americana, si può parlare del senso della vita e trasmettere una morale a partire da una piccola storiella, nel suo caso parlando del rapporto tra due pesciolini che si incontrano in mare. In realtà lui dice di non voler ricorrere a queste storielle, come fanno tutti i grandi scrittori quando invitati a quel tipo di cerimonie, ma poi la storiella la racconta comunque. Ma lasciamo perdere altrimenti il discorso si farebbe troppo complicato e confuso. Quello che vorrei dire è che anch’io cercherò di usare questo artificio retorico-letterario per riflettere sul rapporto tra natura (e quindi tra il mosciolo) e l’essere umano, e perché no trarre una morale, a partire dal dialogo tra un venditore e un compratore di moscioli a Portonovo. Recentemente mi è capitato di andare a comprare moscioli alla Cooperativa di Portonovo. Chiedo come mai quest’anno ce ne siano così pochi. Con fare fugace e di chi si arrende al destino ineluttabile delle cose mi viene risposto “Eh…è la natura, la natura è così, non si comanda”. Noto della rassegnazione malinconica nel suo volto, mista quasi all’accettazione del dato di fatto imposto dalla natura.

Mi viene in mente allora Leopardi. Non volendo del tutto stravolgere il pensiero filosofico leopardiano, ma solo forzandolo un po’, l’atteggiamento del venditore di moscioli mi ricorda infatti la sua visione della natura, al contempo benigna e matrigna. Anche per i “mosciolari” la Natura è inizialmente una madre benigna, creatrice di illusioni che aiutano gli esseri umani a vivere bene. D’altronde la natura ha fatto sì che nelle nostre coste crescesse il mosciolo selvatico in grado di soddisfare la nostra gola, darci un’identità (C’avemo i moscioli e ce piace el vì) e creando per alcuni un indotto economico abbastanza remunerativo. Ma il progresso e la civiltà ci hanno allontanato da quelle illusioni, rendendoci infelici. Cioè, si è venuta addirittura a prospettare la possibilità della scomparsa o comunque la riduzione drastica proprio di quel mosciolo fonte di gioia, identità e ricchezza. Con il passaggio al pessimismo cosmico, la natura diventa una matrigna malvagia e indifferente perché suscita nell’uomo desideri che diventano irrealizzabili (vorrei mangiare e pescare più moscioli, ma la natura mi impedisce di soddisfare questo mio desiderio. E mi stanno addirittura dicendo che forse arriverà il giorno in cui il mosciolo selvatico non ci sarà più!). Se rapportato al pensiero di Leopardi, l’atteggiamento del venditore di moscioli di Portonovo mi sembra del tutto ragionevole, molto pacato e tranquillo, quasi zen!  Con quel “eh…è la natura” sembrava dirmi “che ci vuoi fare…le cose stanno così, bisogna adattarsi e farsele andar bene”.
Del tutto ragionevole appunto.

Poi però sappiamo, come ci ha spiegato nel dettaglio la nostra biologa marina Agnese Riccardi, che la natura (innalzamento delle temperature dell’acqua e assenza di piogge) è solo una delle cause che hanno messo a rischio il mosciolo selvatico. E oltretutto risalendo la catena causale si potrebbe dire che queste cause naturali non sono nemmeno del tutto naturali, ma in buona parte indotte dall’influenza antropica come ormai ci ha insegnato il cambiamento climatico. Il fattore antropico poi, come la pesca professionale e ricreativa, hanno un impatto che, come ci spiega la stessa Agnese, non va sottovalutato. Ed è dunque qui che il parallelismo con il pensiero leopardiano sembra interrompersi. Se infatti Leopardi nell’ultima fase del suo pessimismo, quello che è stato definito da alcuni “pessimismo combattivo”, ritiene che la solidarietà tra esseri umani sia l’unica arma di cui dispongono per fronteggiare il nemico (cioè, la natura), la natura per noi invece dovrebbe diventare un alleato se vogliamo che la nostra relazione d’amore (con il mosciolo, s’intende) continui a vivere. Per preservare il mosciolo serve invece una visione diversa da quella dell’ultima fase del pensiero leopardiano, non dell’uomo contro la natura ma dell’uomo inserito all’interno della natura¹…che porta dunque a rispettarla.

Mi scuso con gli esperti di letteratura all’ascolto per la rozzezza e la brutalità con cui mi sono servito del pensiero leopardiano (e non solo), travisandone magari per scarsa conoscenza il pensiero, ma l’occasione mi sembrava troppo ghiotta per non procedere a questo accostamento. Leopardi, al quale tra l’altro sono unito da un legame di suolo, essendo anch’io nato con lo sguardo rivolto a quel colle, ma che appena l’età me l’ha consentito mi son messo a pescare (più spesso comprare!) moscioli invece che scriver poesie.

 


¹ Ogni riferimento a dichiarazioni della premier Meloni sono puramente casuali e non volute.