È iniziata la stagione estiva e puntuali scoppiano le questioni di Portonovo, da sempre gioia e dolore per Ancona. In effetti i problemi della splendida baia iniziano da lontano, dall’Unita d’Italia, quando Portonovo, bene ecclesiastico espropriato, fu venduto all’asta ed acquistato da un esponente di una ricca famiglia che divenne il padrone dell’intera baia, compreso il versante del Conero, i laghetti, la chiesetta e le sorgenti.

La mancanza di una qualsiasi regolamentazione urbanistica e la ancora pressoché inesistente sensibilità ambientale, oltre all’incuria della proprietà, favorì il più sfrenato abusivismo che determinò il parziale interramento dei laghetti, la distruzione di una parte della vegetazione, il proliferare di costruzioni di ogni tipo, comprese alcune belle ville, su sedime venduto dalla proprietà. Il fenomeno della sostanziale privatizzazione e sviluppo della speculazione fu interrotto, ma non ancora totalmente bloccato, con l’adozione nel 1969 del Piano Paesistico Territoriale. Operò con maggiore efficacia il Piano Particolareggiato esecutivo adottato dal Comune nel 1971. Solo che nel frattempo nella baia erano sorte in riva al mare alcune centinaia di costruzioni di vario materiale e di vario pregio, ed erano moltissimi gli anconetani, io fra questi, ospitati nella stagione estiva da qualche amico che aveva costruito quello che era chiamato un capanno, ma che in realtà nella maggioranza dei casi era una casina confortevole.

Nel frattempo cresceva la sensibilità ambientale e la consapevolezza che la baia era un bene da tutelare e da riportare al corretto uso pubblico che gli strumenti urbanistici adottati ipotizzavano. La Giunta di sinistra-centro, e anche in questo caso io fra questi, che si insediò nel 1976, si trovò  da risolvere due problemini : come venire in possesso delle aree della baia e come eliminare gli effetti dell’abusivismo.
Il primo fu risolto dopo pazienti trattative da una lunga interlocuzione di un assessore, Saverio Pesce, con il proprietario della baia. L’accordo raggiunto  evitò al Comune le lunghe, incerte e onerose procedure dell’esproprio.
Il secondo problemino presentava maggiori complessità. La rimozione spontanea degli abusi non venne nemmeno presa in considerazione dagli interessati e quando cominciarono ad essere notificate le prime ordinanze di demolizione partirono centinaia di ricorsi al Tar per chiedere “la sospensiva“ che però non fu concessa.

Si arrivò così al giugno del 1977 e nella piazzetta di Portonovo si fronteggiarono due schieramenti: qualche migliaio di possessori delle costruzioni abusive e di loro amici da una parte, dall’altra le ruspe del Comune dietro cui era schierato un consistente nucleo di Polizia e Carabinieri. Si registrò un estremo tentativo di fermare le ruspe messo in atto dal legale degli abusivi, un noto avvocato amministrativista, che minacciò di immolarsi davanti alle ruspe se fossero avanzate ma che, appena una accese il motore, scappò via dicendo «Oh ma questi fanno sul serio».

Per fortuna, al di là di un po di strepiti, qualche tessera del Pci strappata e qualche sputazzo contro gli assessori presenti, non vi furono violenze e un pò alla volta caddero i capanni. Il lavoro più grosso era fatto ma a distanza di anni, come si ricorda ad inizio di ogni stagione estiva, permangono assurdamente alcuni problemi come la regolamentazione degli accessi, la gestione delle aree di sosta, la manutenzione dei percorsi verdi, la riqualificazione di alcune aree, prima fra tutte quella dell’immobile dei “Mutilatini” che più di altre oggi appare come una incomprensibile brutta ferita inferta alla bellezza della baia.