Questa rivista si è posta sin dall’inizio l’obiettivo di riflettere sull’Ancona che sarà.
Nel farlo non possiamo prescindere da un tema tanto importante quanto complesso: il destino dei numerosissimi vuoti urbani che attraversano il tessuto della città. Per vuoti urbani qui intendiamo l’insieme di quei fabbricati di grandi dimensioni dismessi (o in via di dismissione), spesso degradati, che popolano, silenziosi e dimenticati, la trama cittadina.

Decine di migliaia di metri cubi, sia pubblici che privati.
Apparentemente senza un futuro, anche perché del loro futuro, in una visione strategica d’insieme e organica, nessun amministratore pubblico si è granché occupato, intimorito dalla complessità e dall’onerosità di un qualsiasi approccio serio alla materia e, non da meno, da una prospettiva temporale incompatibile ahimè, ai giorni d’oggi, con le regole del consenso politico e con il raggio medio dell’azione pubblica.

In realtà, invece, provando ad andare controcorrente, quegli immobili che oggi vengono visti come un problema di dequalificazione della città (oltre che a volte come rischio per la salute pubblica e l’ecosistema), rappresentano una eccezionale occasione di rigenerazione da misurare con i bisogni, le opportunità e gli obiettivi che oggi la città, sia quella di pietra, che quella di carne, è chiamata inevitabilmente ad aggiornare e ripensare.
Consapevoli che, a prescindere dalla proprietà degli immobili, gli strumenti di pianificazione urbanistica e le scelte strategiche in questo campo, rimangono comunque nelle mani dell’amministrazione comunale.
In questo quadro, peraltro, la dimensione pubblica e quella privata sono chiamate a confrontarsi e collaborare affinché si possano individuare soluzioni in grado di soddisfare interessi e portare vantaggi ad entrambe.
Un’alleanza tra pubblico e privato di cui andranno preliminarmente definite le regole del gioco e approvate in modo trasparente, aperto e partecipato le linee, i binari ed i principi su cui fondare il partenariato.
Su basi rigorose, chiare e responsabili, il sistema privato (sia profit che non profit) non è un terzo estraneo all’agire pubblico, da osservare con diffidenza e pregiudizio, bensì alleato affidabile per ragionare ed operare su progetti ambiziosi e complessi senza venir meno alle regole che debbono muovere l’azione pubblica.
Nelle prossime settimane, dunque, ospiteremo sul nostro sito una serie di interventi ed opinioni autorevoli per provare a disegnare uno scenario e i confini di una possibile strategia da offrire ai diversi decisori politici.
Intanto, un punto indispensabile di partenza: una prima, pur approssimativa lista dei vuoti urbani più significativi. Serve a delineare la dimensione del problema e, al tempo stesso, dell’opportunità che ci è offerta.

  • ex Lancisi
  • ex Tambroni
  • ex Centrale del latte, Torrette
  • ex Mattatoio di Vallemiano
  • ex Angelini, Palombella
  • ex Ente sviluppo agricoltura, via Alpi
  • Villa Beer, Le Grazie
  • Villa Colonnelli, Posatora
  • ex Istituto Fermi, Piazza Stracca, e ex Economia e Commercio, via Pizzecolli
  • ex Sip Pietralacroce
  • Palazzo Poste alla Stazione
  • ex Inps
  • ex Telecom (Brecce Bianche)
  • ex Cinema Enel (Piazza Pertini)
  • ex Cinema Mr Oz
  • ex Supercinema Coppi
  • ex Cinema Alhambra
  • ex Cinema Splendar
  • immobili diroccati al Parco del Cardeto
  • gli stabili delle ex scuole oggi dismesse
  • il patrimonio militare in via di dismissione

E in arrivo a breve:

  • Salesi
  • Inrca Montagnola
  • ex Savoia (una volta che i ragazzi saranno tornati al Benincasa)

Si apra una riflessione seria su questo utilizzando le migliori competenze in campo. Il tema è sfidante, via alla discussione.

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