Il terzo capitolo parte del viaggio nel mondo della sanità anconetana ci porta a Torrette, dove gli Ospedali Riuniti si sono trasformati in “Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche” diventando il primo e più importante ospedale della Regione. Da questa scelta scaturiscono innegabili vantaggi, ma anche alcuni rischi che Claudio Maffei, medico a riposo, ex docente universitario e dirigente della sanità pubblica, analizza per i lettori di A.

Il tema del “grande” ospedale di Ancona (quello che prima era l’Umberto I e oggi è “Torrette” presso il quale speriamo tra poco troverà spazio anche il nuovo Salesi) è essenziale per la nostra città. Da sempre Ancona ha avuto una vocazione ospedaliera, di cui abbiamo già avuto modo di parlare nel primo degli articoli di questa serie. Una vocazione che l’ha portata ad avere nelle Marche, prima l’unico Ospedale Regionale (quando ancora esisteva questa dizione), e poi ad essere sede della prima e unica Facoltà di Medicina.

Si può tranquillamente – credo – affermare che uno dei “primati” che tutta la Regione “civile” riconosce alla nostra città è proprio a livello di assistenza ospedaliera. Ma anche la Regione “politica” lo riconosce visto che, pur non avendo mai espresso negli ultimi trent’anni un Assessore alla Sanità, Ancona continua ad avere l’unico ospedale di II livello della Regione e quindi l’unico dotato di alte specialità, come ad esempio la cardiochirurgia, la chirurgia toracica, la chirurgia dei trapianti e il Centro Trauma Gravi. Caratteristiche che fanno essere il “nostro” ospedale anche l’unico della Regione con un Dipartimento di Emergenza e Accettazione di II livello con un servizio di elisoccorso e centro di riferimento di reti cliniche importantissime come quella neonatologica.

Per parlare del “nostro” ospedale vorrei usare come spunto di partenza la scelta di trasformare questa estate il nome della Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti di Ancona Umberto I – G.M. Lancisi – G. Salesi” in “Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche”.
Il cambio di denominazione è stato deciso dalla Direzione dell’Azienda d’intesa con l’Università Politecnica (a sua volta e non a caso “delle Marche”) all’indomani dell’approvazione da parte della Regione della (a mio parere sciagurata, ma questo è un altro discorso) Legge di Riforma della Sanità delle Marche che ha previsto la soppressione dell’altra Azienda Ospedaliera, quella di Marche Nord, che comprendeva i due ospedali di Pesaro e Fano. Essendo quella di Ancona rimasta la sola Azienda Ospedaliera della Regione, si è ritenuto opportuno rendere evidente anche nella sua denominazione questa unicità facendo così perdere il riferimento nel nome sia alla città che ai suoi tre ospedali storici (il Regionale Umberto I, il Cardiologico Lancisi e l’Ospedaletto Salesi). Si tratta di un caso quasi unico in Italia di Ospedale senza la città nel nome. Le intenzioni alla base del cambio di denominazione sono di per sé buone: rilanciare il ruolo unico e centrale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria nella Regione.

Secondo me, taglio delle radici a parte (che pure conta), ci sono però alcuni possibili equivoci e altrettanti rischi in questa scelta di cambiare nome. Una scelta importante, come sapevano i Romani secondo cui “nomen omen”: il destino nel nome. Il primo equivoco riguarda il fatto che con il Salesi che va a Torrette (nome troppo locale per chiamare l’Ospedale delle Marche, ma noi continueremo a usarlo) e con l’INRCA che andrà sotto Camerano per gli anconetani quella di Torrette rimarrà l’unica struttura ospedaliera in città. Quella, ad esempio, con il Pronto Soccorso più vicino e più “robusto”, quella con l’offerta ambulatoriale più significativa e quella cui la maggioranza degli anconetani si rivolge per i problemi chirurgici più comuni oltre che per quelli più complessi. L’enfasi sulle sole attività di secondo e terzo livello che caratterizzano il ruolo “marchigiano” (e nazionale) dell’ospedale rischia di far perdere di vista l’importanza delle prestazioni di primo livello della parte dell’ospedale che dovrebbe servire gli anconetani, che infatti a Torrette trovano difficoltà di risposta ad esempio per la patologia chirurgica “minore” che minore non è per chi ne soffre (varici, cataratta ed ernie sono le prime che mi vengono in mente). Il primo rischio della nuova denominazione e della filosofia che la sostiene è dunque che per essere abbastanza “marchigiano” Torrette non ce la faccia più a essere abbastanza anconetano, quando gli anconetani continuano invece ad averne un gran bisogno.

Un secondo rischio è che la nuova denominazione enfatizzi il già pesante ruolo del governo regionale sulle scelte che riguardano il “nostro” ospedale e renda sempre più lontana e passiva la politica locale rispetto a queste scelte. Se l’Ospedale è delle Marche sarà naturale che sia la sola Regione Marche a deciderne i destini. Questa delega non la lascerei tutta in bianco. Il balletto di questi giorni sulla nomina del nuovo Direttore Generale del “nostro” Ospedale costituisce un esempio efficace (mentre scrivo il balletto non è ancora finito).

Terzo rischio: l’esibizione dell’unicità dell’Ospedale di Ancona come sede dell’unica Azienda Ospedaliera delle Marche può ostacolare la sua integrazione con il resto dei servizi. Per svolgere bene il suo ruolo regionale (e nazionale) l’Ospedale di Ancona ha bisogno di fare rete sia con i servizi territoriali locali che con tutta la rete ospedaliera della Regione, a partire dagli ospedali più vicini. Fare rete vuol dire avere obiettivi comuni e una operatività integrata senza competizione. Quindi più il profilo comunicativo dell’Ospedale sarà sobrio e la sua operatività sarà al servizio del sistema sanitario regionale e più la sua centralità verrà riconosciuta. Ricordiamoci che ancora Ancona e il resto della Regione non si amano molto.

Con lo stesso atteggiamento di sobrietà va vissuto il riconoscimento dato di recente all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ancona, cioè delle Marche, come miglior ospedale pubblico d’Italia. Questo riconoscimento è frutto di una elaborazione dei dati di attività 2021 fatta da una Agenzia del Ministero della Salute. Questa elaborazione notoriamente non è in grado di fare “vere” classifiche perchè utilizza un sistema di indicatori che non copre molti aspetti della qualità dell’assistenza. Si tratta comunque di un ottimo segnale da vivere con la consapevolezza che i miglioramenti da apportare sono tanti e che chi lavora a Torrette o ci va per ricevere assistenza lo sa. Meglio evitare commenti trionfalistici che rischiano di farsi dire “cala giù da qul pajaro!”. Che è la versione anconetana di un invito all’understatement, insomma alla modestia.

Per concludere il ruolo dell’Ospedale di Ancona nella Regione dovrà essere sempre più (facciamo i moderni) “glocal” e quindi capace di concentrarsi contemporaneamente sulla dimensione locale e su quella globale regionale e nazionale. Colgo l’occasione per buttare lì un’idea: perché non trasformare Villa Maria in una sorta di Museo/Centro Studi sugli Ospedali di Ancona? Una storia che merita di essere studiata, conosciuta e meditata.

PS L’occasione è buona anche per fare gli auguri al Prof. Luigi Miti, storico primario della Medicina Generale dell’Umberto I, che il 30 dicembre ha compiuto 108 anni. Un monumento vivente, ancora lucido come sempre nella sua vita.

 

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Nella foto di copertina: L’Ospedale di Torrette