L’idea è ricercare una complessità che il dibattito politico ha perso da diversi anni. La cosa è tanto più significativa alla scala del locale, diventato una specie di parolaccia nel mondo globalizzato.

Negli anni Sessanta/Settanta del secolo passato, quelli del boom delle riviste militanti tipo i “Quaderni Piacentini” (ai ventenni sembrerà un titolo contemporaneo al “Monitore Cisalpino”), le riviste si facevano per creare un paradigma interpretativo, un modello di pensiero. La modalità era “tattica”, l’obiettivo interno. I lettori erano solo gli spettatori di un confronto tra intellettuali.
Combattendo con fastidiose bestioline che uscivano da tutte le parti, mi sono andato a prendere sugli scaffali alti della mia biblioteca questo genere di riviste e mi sono stupito di quanto potessero permettersi di essere complesse e spesso illeggibili.

Poi ci sono state le riviste culturali che avevano un pubblico, tipo “Alfabeta”, per citarne una, sorta di “luogo comune” e di incontro tra redattori e lettori dovuto alle ideologie. Un pubblico che nel frattempo affollava i dibattiti, le presentazioni dei libri, i teatri. Un mondo piuttosto omogeno per tipologia, modo di vestire, gusti. Quello della famosa “egemonia della Sinistra”, buonanima. Ma dietro questi strumenti operavano anche istituzioni, centri culturali, università militanti dalle quali i temi delle riviste esondavano creando un dialogo tra ricerca, cultura e politica. Erano gli anni in cui certi enti locali addirittura si sostituivano alle istituzioni di ricerca sostenendo i costi di indagini, studi, ecc. (oggi, a parte l’assenza delle risorse, verrebbero probabilmente multati dalla Corte dei Conti).
Quel mondo non c’è più, finito in soffitta come i miei pesciolini e le Clarks marrone consumate che eravamo costretti a portare tutti nonostante facessero fare pericolosissimi scivoloni sul bagnato.

Questa rivista non potrà avvalersi di quel retroterra e dovrà fare da sola, specie in un luogo certo difficile come Ancona, ma che ha già dato prova di smentire superficiali pessimismi. Facendo di necessità virtù, essa prova dunque a inaugurare uno scenario nuovo. Non so ancora se proprio 4.0 nel senso diffuso, ma comunque muovendosi in modo diverso nello scenario liquido della società contemporanea.
L’idea è ricercare una complessità che il dibattito politico ha perso da diversi anni, senza però rifare i collettivi chiusi; tentare un dialogo tra ricerca e politica che anche l’Università sembra aver perso. In giro, fatte le dovute eccezioni, si vedono titoli per lo più a scopo di carriera sempre più scialbi e pallidi, privati di idee originali per poter essere meglio accolti nelle maglie della nuova ricerca scientifica neoliberale, fatta di ricercatori che assomigliano sempre di più a dei frati.

Ma la sfida è anche più ambiziosa. Il nodo di A non sta infatti tanto nel laconico titolo, che lascia ampio margine alla fantasia, ma nei due punti: vi è sottesa una domanda impegnativa: adesso che vogliamo fare? La cosa è tanto più significativa alla scala del locale, diventato una specie di parolaccia nel mondo globalizzato. I due punti potrebbero allora stare per un dinamismo che si vorrebbe creare tra il fuori e il dentro, tra la città e la regione, tra il centro urbano e le frazioni, tra ricercatori e politica, tra chi collaborerà con dei testi e i lettori. Un dialogo che usa la carta per temi complessi ed altri mezzi per un altro genere di discussioni. 4.0 in questo senso. La rivista infatti non sarà solo queste pagine, ma anche un sito web, una newsletter, occasioni di incontri non secondari su quanto c’è di scritto, che daranno poi origine ad altri testi e via di seguito, secondo un modello circolare (questa espressione alla moda mi è sfuggita, scusate).

Questa è l’intenzione. Però il risultato dipenderà anche da chi, appunto, sta dall’altra parte. Se resteremo di qua dei due punti non sarà solo colpa della redazione; per cui datevi una mossa anche voi. Forse come editoriale del primo numero è un po’ aggressivo, ma i Social ci hanno abituato alle cagnare e ci tocca anche competere un po’ con i toni degli altri mezzi di comunicazione.


Questo editoriale è contenuto in A: numero 1 / dicembre 2021 – Illustrazione: Costanza Starrabba