Ciao Giovanni, Casa delle Culture è attiva dal 2015 a Vallemiano e ha visto tante trasformazioni. Che cos’è oggi?
Casaculture è un’associazione di primo livello. Siamo stati per anni un’associazione di secondo livello, ovvero un’associazione di associazioni. Questo in passato ci ha garantito una grande pluralità, ma anche una certa debolezza nel farci percepire come qualcosa di unico e non come un contenitore di realtà esterne. Grazie a questo passaggio, con la possibilità di inserire anche persone fisiche e non solo associazioni all’interno del nostro tessuto, si sta sempre più concretizzando invece l’identità di Casaculture come spazio di raccolta e proposta di idee che possono anche non venire da associazioni. Il nostro cuore è la Biblioteca. Obiettivo a breve termine è settorializzarla, focalizzandoci su ambiente, rigenerazione urbana, gamification. È molto frequentata anche come aula-studio e di smart-working.

Chi sono e cosa dicono le persone che arrivano a Casaculture?
Il primo ingresso alla Casa avviene durante i nostri eventi, e poi si torna per fruire dell’aula studio. Questo ci consente in maniera non strutturata di creare connessioni, ad esempio con Luca Bontempi abbiamo organizzato lezioni su editoria e fumetto nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro. È successo in una settimana, dopo che Luca ha scoperto che cosa facciamo e ha messo a disposizione le sue competenze. Con Nicola Gobbi stiamo per lanciare degli incontri dove uomini si possono incontrare per parlare di sentimenti, discriminazioni, femminismo.

Conta la mia iscrizione! E poi?
Oltre a questo, Casaculture fa anche welfare culturale grazie alle 13 associazioni che ne fanno parte. Per esempio con una di queste, Hexperimenta, che sta lavorando con la Rete del sollievo, usiamo media artistici per poter fare attività di integrazione di persone che in genere non hanno questa possibilità. Facciamo attività di prossimità, per esempio con il progetto QUA: lavoriamo sui bisogni di prossimità, con tentativi, molto difficili, di attivazione del quartiere. Casaculture ha un tessuto sociale molto particolare, il quartiere di Vallemiano dove viviamo non ha una caratterizzazione precisa, come invece Palombella o gli Archi. È un quartiere con una popolazione molto anziana, è interstiziale perché è periferia ma non è periferia, con una galleria che rappresenta un ostacolo fisico che la allontana dal centro. È il quartiere dove abita chi lavora in periferia, ma vuole stare vicino al centro, è un quartiere di palestre ed è molto difficile attivare chi vive qui, ma in effetti lavora e passa molto tempo altrove, oppure chi è vissuto qui ma non è abituato a questo tipo di socialità. È difficile creare legami, ma pian piano ci stiamo riuscendo, mescolando in attività diverse pubblici eterogenei, nello stesso orario: per esempio mentre facciamo doposcuola per bambinə che vengono da famiglie con fragilità, mettiamo in compresenza, in stanze diverse ma comunicanti, il corso di burraco.

Quando siete aperti?
Dal lunedì al venerdì, martedì mercoledì e giovedì anche la mattina. L’uso degli spazi per studiare o lavorare, così come il prestito bibliotecario, è gratuito. La nostra idea di biblioteca è una città nella città senza barriere, economiche, fisiche o sociali.

Cosa vorresti che diventasse Casaculture e quali ostacoli state già rilevando?
Non ci sono personalismi qui dentro, tra cinque anni potrebbero esserci altri a portare avanti le attività, ed è un bene. Prevedo che avremo messo a regime quello che già stiamo iniziando ad essere: riconosciuti per le nostre attività ricreative, culturali e sociali. La grande problematica è lo spazio. È bello avere tanti eventi in compresenza, è bello che ci siano così tante realtà diverse che si rivolgono a noi, è brutto non avere spazio per dare dignità a ciascuna attività.

Qual è la tua idea di quello che sta succedendo in città in questa fase post lockdown?
Nel nostro piccolo mondo chi ci segue ha voglia di esserci, di novità, di mettersi in gioco in maniera molto costruttiva. In città sta avvenendo il contrario: la socialità e la ricreazione vengono demonizzate, con ordinanze sempre più restrittive e con la costante creazione di nemici del pubblico decoro. Provvedimenti che nel breve termine producono effetti utili, ma tagliati con l’accetta. Occorrerebbe offrire alternative. Il primo nemico del degrado è un tessuto sociale vivo e attivo.