Tra i temi che Ancona Rivista a colori ha sollevato trovo particolarmente interessante quello dei cosiddetti vuoti urbani, manufatti dismessi, di solito di grandi dimensioni, da troppo tempo abbandonati e per i quali non è affatto facile ipotizzare delle soluzioni.
Sono quegli stessi vuoti che esprimono le maggiori potenzialità e che possono fare la differenza nel futuro della città.
Confesso che mi crea qualche difficoltà parlare di cose su cui non ho tutti i dati aggiornati e concreti di valenza ‘tecnica’, quindi mi baserò molto su quanto scritto da coloro che mi hanno preceduto, persone con una solida competenza ed esperienza in materia, ma soprattutto mi baserò sulle esigenze che avverto come cittadina di Ancona, cercando di rispondere a queste domande: che cosa manca? E che cosa mi è mancato di più?
Sono due gli interventi già pubblicati ad alimentare il dibattito, entrambi caratterizzati da una visione generale del problema -che condivido- sostanzialmente riassumibile in tre mosse: una lettura del territorio che denota conoscenza storica e “storicizzata” dei cambiamenti urbani anche più recenti, la consapevolezza della necessità di affrontare il problema da un punto di vista di pianificazione e programmazione complessive, l’importanza attribuita al rapporto pubblico/ privato e al modo con cui il pubblico, disponendo di strumenti normativi flessibili, può anche creativamente innescare un circuito virtuoso di reciproco beneficio con il privato. Sono tutte considerazioni giuste: non mi sembra corretto infatti proporre estemporaneamente che cosa si vorrebbe vedere in un luogo o in un altro della città, perché sono innumerevoli i vincoli, le aspettative, i limiti imposti dalla realtà.
Tuttavia vorrei provare a immaginare, visto che questo mi è stato richiesto, con molta prudenza, che cosa mi piacerebbe vedere, cosa mi manca nella mia città e mi è mancato davvero, delegando a chi ha più conoscenze ed esperienze di me il compito di cercare soluzioni realistiche, e magari di fare l’abbinamento tra una possibile destinazione d’uso e un contenitore da scegliere tra quelli che rimangono vuoti.
C’è una cosa di cui sento la mancanza da sempre nella mia città, che a mio modo di vedere in qualche modo qualifica o per meglio dire meglio squalifica Ancona. Parlo di una Biblioteca.
Si potrà obiettare che la Biblioteca ad Ancona esiste, ed anzi è anche attualmente in corso di miglioramento. Tutto vero. Esiste un’importante Biblioteca intitolata a Luciano Benincasa, con una collezione consistente e di pregio, collocata in un importante palazzo attualmente in corso di ristrutturazione, con tutti i servizi di rete più interessanti ed efficienti. Tuttavia mi ha sempre fatto pensare un po’ ad un bonsai: un luogo prestigioso ma con una capacità di espansione costretta dallo spazio in cui si trova. È evidente che per biblioteca non intendo solo un polo specialistico dedicato ai libri e alla pubblica lettura ma un luogo capace di generare relazioni tra le persone, di produrre cultura, creare innovazione sociale, nuovo welfare e molto altro.
Parlo di un luogo dove si possano concentrare molte attività diverse, un centro catalizzatore nella città, dove le persone più giovani di me, ma non solo, possano trovare uno spazio agibile per ritrovarsi che non sia solo quello dello Spritz.
Sono sicura che anche i miei concittadini abbiano apprezzato nei loro viaggi alcuni tra gli edifici più innovativi e attraenti delle grandi e medie città europee e statunitensi che ospitano biblioteche. Quelle sono le biblioteche intese nel senso in cui le intendo io. La Biblioteca Civica di Stoccarda, la Biblioteca di Oodi a Helsinki, la Biblioteca reale di Copenhagen, sono solo alcuni esempi di biblioteche visitate, fotografate, premiate per il connubio di architettura e letteratura che rappresentano. O per restare in Italia, pensiamo alla Biblioteca Salaborsa di Bologna (nella foto di copertina).
Che cosa si trova in una biblioteca del genere?
Come dicevo non solo i classici volumi, giornali, materiali audiovisivi, ma anche tante connessioni alle reti culturali lunghe: queste biblioteche sono come sorgenti. Oggi da una Biblioteca si può arrivare dovunque e venire a sapere qualsiasi cosa.
Si parla molto di intelligenza artificiale e se ne paventano gli effetti in termini di generazione di una sorta di ‘cascame’ del sapere, dove non è più possibile comprendere genesi e affidabilità delle informazioni.
Ecco per me la biblioteca è il luogo nel quale si può imparare a discernere, a sapere e anche a sapere di non sapere, o a capire chi è che parla senza sapere, ad apprendere e ricercare in modo scientifico, e lo si può fare divertendosi e producendo cultura e informazione.
Quindi non mi dilungherei sull’elencazione delle possibili funzioni che un luogo del genere potrebbe ospitare, ma penserei ad una biblioteca come cuore della città, anche se in un edificio non così prestigioso e spettacolare come quelli che ho citato.
È evidente che un luogo del genere deve poter contare su moltissimi contributi: un solido sostegno pubblico, tecnologie avanzate, competenze tecnico specialistiche presenti in modo permanente, molti attori con una solida base culturale (associazioni, esperti, altre Istituzioni) ma anche una capacità propulsiva capace di rendere dinamici gli spazi e le esperienze ospitate.
Credo che un luogo del genere potrebbe avere un forte ruolo propulsivo in una città con tanti studenti, che pure frequentano le loro biblioteche universitarie, ma non hanno un luogo unico di incontro che sarebbe del tutto giustificato dalle dimensioni della città e dalla sua legittima pretesa di essere città capoluogo delle Marche.
Una biblioteca di questo tipo sarebbe una estensione della Biblioteca classica, e non si porrebbe in competizione con essa, ma in rete ovviamente con le altre biblioteche, mettendo a disposizione spazi di co-learning e co-working, dove ogni disciplina possa trovare ospitalità intorno al libro, alla scrittura, alla musica, al cinema, alla illustrazione, e cosi via.
Per questo sogno una città dove alle sei del pomeriggio i ragazzi, ma non solo loro, possano ritrovarsi per fare freestyle, registrare o suonare, guardare un film o video, giocare alla play, assistere alla presentazione di un libro, vedere arte contemporanea o antica, leggere un fumetto o cercare un giornale, vedere una finale di tennis, fare yoga o boxe, prendere un caffè.
Quale vuoto urbano riempirei con questa biblioteca? Come ho detto in premessa non mi piace andare a caso, ma il pensiero spontaneo mi porta al Liceo Scientifico Savoia, mi piacerebbe che fosse davvero il cuore pulsante della città. Perché è un luogo già conosciuto dai giovani o da quelli che lo sono stati, è già un luogo del cuore, ed è centrale, un luogo attorno al quale tutti finiamo per ruotare continuamente.
So che potrebbe apparire una proposta velleitaria ma non credo sia poi così vero.
Nel corso della mia attività professionale ebbi l’opportunità ormai parecchi anni fa di occuparmi di una nuova biblioteca al Foro Annonario di Senigallia, una struttura grande, moderna, finanziata con i primi fondi comunitari che arrivavano nelle Marche: più di una volta sono venuti da Bruxelles per filmarla o fotografarla come esempio di struttura culturale innovativa ed efficiente e tuttora rappresenta una bella realtà nel panorama regionale.
Basta pensare in prospettiva e nemmeno tanto in grande, magari anche tenendo a mente nelle scelte future quale sia il ruolo che la Costituzione assegna alle Istituzioni pubbliche in materia di Cultura.
Se è vero che tutto è o può essere cultura, in senso ampio e ‘antropologico’, è vero anche che il ruolo del Pubblico è in primis sostenere quella parte della Cultura che non ha mercato, per lo sviluppo della quale è indispensabile un intervento pubblico e per l’accesso alla quale i cittadini pagano quella che possiamo definire più una ‘tariffa’ che un prezzo, proprio come avviene per i servizi alla salute.
Quando si contribuisce con risorse pubbliche a grandi eventi commerciali, si fanno giustamente e occasionalmente animazione commerciale e turistica ed intrattenimento, a beneficio delle persone e con una ricaduta positiva soprattutto per gli esercizi commerciali. Ma il ruolo pubblico nella Cultura è creare dei cittadini preparati, consapevoli e possibilmente anche un po’ colti. Ci si guadagna certamente in questa epoca di odiatori e complottisti e si contribuirebbe a fare davvero grande Ancona.
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Gli articoli che abbiamo già dedicato al tema dei vuoti urbani
Vuoti urbani, ne vogliamo parlare?
vuoti urbani 2/ La rigenerazione si fa sui bisogni dei cittadini
Simona Teoldi
Simona Teoldi è laureata in lettere con indirizzo archeologico alla Sapienza di Roma e ha conseguito successivamente numerosi attestati di specializzazione nel settore dei beni e delle attività culturali e della valorizzazione e sviluppo del territorio. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti come pubblicista, ha lavorato come libera professionista fino al 1996 e poi in Regione, dove ha svolto attività nel settore della Cultura, del Turismo e della Internazionalizzazione, anche come project manager di numerosi progetti in Cina ed in altri Paesi in Europa, Sud e Nord America, India. Attualmente si occupa di programmazione delle risorse nazionali. Vive e lavora ad Ancona.