Ciao Daniele, qual è lo scopo dell’Associazione Avvocato di strada?
Offrire tutela legale alle persone che vivono in strada o nei dormitori. Si tratta di persone che, vivendo ai margini della società, sono escluse dall’accesso alla tutela legale, perché loro stessi non pensano alla tutela dei propri diritti, o non credono che qualcuno possa stare ad ascoltarli, ma anche esclusi perché se non hai una residenza non riesci a fare domanda di patrocinio a spese dello Stato. Da noi vengono in tanti, invece. Iniziamo con un contatto, creiamo “familiarità”, fiducia e per questo ci vuole tempo, ci vuole che il tuo ruolo sia entrato nella loro stessa società, nel loro giro. Questi sono gli scopi “pratici”. Ma l’idea più forte a mio avviso è che se c’è tutela legale per le persone più deboli e più vulnerabili allora c’è tutela per tutti. È facile concedere diritti ai più forti, a chi può prenderseli o tutelarseli da solo/a. Per noi non esistono cause perse, nel senso che nessuno va abbandonato, perché la società è giusta, ammesso che ciò sia possibile, quando riconosce i diritti ai più deboli.

Ci racconti le vostre attività e progetti?
In città abbiamo uno sportello-ufficio legale presso la mensa del povero ad Ancona, dove le persone che vivono in strada possono venire tutti i giovedì pomeriggio dalle ore 14:30. Siamo operativi dal 2007 e fino ad oggi abbiamo seguito quasi 700 persone. Facciamo parte di una rete a livello nazionale di sportelli operativi in 55 città italiane. Vista l’esperienza maturata, offriamo consulenza sul tema dei senza dimora e degli stranieri anche alle Amministrazioni, lavoriamo nel campo della tutela contro le discriminazioni e forniamo formazione. Tutto in maniera rigorosamente gratuita perché, come recita il nostro slogan, “siamo lo studio legale più grande d’Italia ma anche quello che fattura di meno!”.

Che contesto vedi ad Ancona?
Ogni volta che andiamo in strada contattiamo dalle 30 alle 50 persone senza dimora. La nostra città non è esente dal problema della marginalità, ci sono persone che non hanno nulla, costrette a vivere in strada, in giacigli di fortuna o in centri di accoglienza temporanei. Collaboriamo strettamente con l’associazione “Servizio di Strada”, che abbiamo contribuito a creare, perché aiutare le persone ad uscire da una condizione difficile è sempre e comunque un lavoro di squadra, non puoi riuscire da solo ad avere tutte le competenze e le energie, quindi ti serve il medico, l’avvocato, lo psicologo, a volte il centro dipendenze, l’operatore di strada che si cura di accompagnare le persone negli uffici a svolgere pratiche amministrative, ti serve chi ti aiuta economicamente o risponde al telefono, ti serve una Pubblica Amministrazione che sia “complice”, con la quale collaborare.

Qual è la tua lettura del contesto sociale, cittadino, globale?
Vedo un impoverimento della società sempre maggiore, da un punto di vista culturale, umanistico, di pensiero, di riflessione e di elaborazione prima ancora che economico ed organizzativo. Le persone capaci spesso rimangono lontane dalla vita pubblica, per scelta o perché respinte. Sono molto pessimista in questo: vedo la politica asservita a logiche economiciste e pragmatiche, che non colgono più la complessità e i sogni delle persone. Ma una società senza sogni è una società arida, chiusa nei confini, arretrata, attenta a difendersi ma mai a dare, è una società che alimenta insoddisfazione, infelicità e frustrazione.

Cosa la città potrebbe fare per supportare la mission dell’organizzazione, che cosa sta facendo?
Un punto di eccellenza dell’attuale Amministrazione è certamente nei Servizi sociali. Dalla situazione disastrata di anni fa, sono stati ristrutturati e posti al centro di un programma di riorganizzazione moderno che, per quanto ci riguarda, ha rispecchiato le esigenze e si è posta al fianco di chi opera nel territorio. È un ambito in continua evoluzione e ci sono molte sfide da cogliere: l’aspetto etnografico delle città, le nuove forme di housing o cohousing, la temporaneità degli alloggi e la loro estrema volatilità, ma anche la necessità per le persone di riprendere a vivere gli spazi pubblici, per non parlare delle nuove famiglie e delle loro esigenze (madri lavoratrici sole, per esempio), le malattie mentali, l’approccio inclusivo e non marginalizzante e via di seguito. L’ausilio delle realtà di strada è quello di arrivare al contatto con le persone per la loro natura non-istituzionale, ma poi occorre che l’Amministrazione sia accogliente, complice e non respingente, pronta alla soluzione del problema con ogni suo mezzo.